Dal 4 ottobre al 2 febbraio il Complesso del Vittoriano a Roma ospita la mostra “Cézanne e gli artisti italiani del XX secolo”, a cura di Maria Teresa Benedetti.
Tra i pittori italiani messi a confronto con Paul Cézanne, Fausto Pirandello sarà presente con ben sei opere: “Il bagno” (1934), “Natura morta con le mele” (1940), “Spiaggia affollata” (1940), “Natura morta estiva” (1946), “Bagnanti di schiena” (1955), “Bagnanti nella luce (Bagnanti nella rifrazione)” (1959).
A rappresentare il profondo e durevole legame che stringe Fausto Pirandello a Cézanne sono state convocate al Vittoriano ben sei opere del pittore romano: un numero che ne affianca la presenza a quella di Morandi e Carrà, egualmente presentati in mostra con un così largo numero di opere. Fra quelle di Pirandello, da segnalare, oltre al “Bagno”, del 1934, esposto la prima volta l’anno successivo alla seconda Quadriennale, ove suscitò un largo clamore attorno alla figura del suo autore, la “Spiaggia affollata” del 1940, una delle opere pirandelliane più tipiche dei dolorosi ed esacerbati anni della guerra, e due dipinti di “Bagnanti” del tempo maturo e tardo, in cui Pirandello ripensa la forma della lezione di Cézanne.
Il catalogo Skira, come la mostra a cura di Maria Teresa Benedetti, include un saggio di Fabrizio D’Amico dedicato in particolare alla “lunga devozione” serbata da Pirandello verso il grande maestro francese.
Fausto Pirandello e Paul Cézanne: momenti di una lunga devozione.
Testo di Fabrizio D’Amico
Nella vita non breve, Fausto Pirandello ha traversato almeno quattro stagioni ideative, dopo quella d’esordio. La prima, segnata dagli anni trascorsi a Parigi tra ’28 e ’30, nei quali trovò la sua maturità. Quella immediatamente seguente che, sulla metà degli anni Trenta, lo vide protagonista – anche se, come poi sempre, appartato – della scuola romana, e in particolare della sua identità bontempelliana, prima che un nuovo empito realista (condiviso tra gli altri con Virgilio Guzzi e Renato Guttuso) lo sospingesse oltre la attonita, magica sospensione trovata nel tono. Quella del dopoguerra, poi, con le nuove preoccupazioni formaliste, che lo avvicinarono infine all’“astratto-concreto” di Lionello Ventuuri. Quella, in ultimo, dell’età più tarda, nella quale egli recuperava l’asprezza espressionista che aveva aleggiato su tanti suoi anni, coniugandola con l’esperienza da lui tentata a fianco delle istanze non figurative degli anni Cinquanta. Continua a leggere…